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03.12.2025

Il fotografo Michal Adamovský: Vedo il futuro in modo positivo per gli autori creativi

I membri della Camera di Commercio e dell’Industria Italo-Ceca conoscono Michal Adamovský dagli eventi della Camera, che documenta ormai da molti anni. Oltre a questo, Adamovský si dedica anche alla fotografia artistica, che è possibile vedere nella mostra personale Broken Flowers, curata da David Korecký. La mostra si tiene fino al 20 febbraio negli spazi espositivi Artium by KKCG a Praga. Adamovský si occupa del tema dell’appropriazione artistica (l’appropriazione di fotografie altrui) dal punto di vista del diritto d’autore. Su temi legati all’arte e alla legge tiene regolarmente lezioni esterne presso accademie artistiche. Con Adamovský abbiamo parlato anche dei cambiamenti della fotografia dovuti all’intelligenza artificiale.

Quali sono i temi principali della sua produzione artistica?

Penso che la mia mostra attuale Broken Flowers lo rifletta al meglio: è un dialogo tra fotografia classica di grande formato e altri oggetti sperimentali. Di recente mi sono definito “un sperimentatore con negativi e positivi”, un’espressione che volutamente porta con sé una certa ambiguità. Allo stesso tempo ho il bisogno di esplorare situazioni-limite legate all’immagine. Una delle parole chiave della mostra e del modo in cui è installata nello spazio, sotto forma di muro, è proprio la “frattura”. La mostra nel suo insieme invita a una riflessione più profonda su alcune questioni del mondo contemporaneo. Ad esempio, l’opera introduttiva sulla locandina della mostra è nata in collaborazione con il prestigioso centro internazionale di ricerca laser ELI Beamlines a Dolní Břežany. Si tratta di un negativo a colori medio formato esposto nel 2013 durante una visita alla Grande Muraglia Cinese, che nel 2019 ho perforato con impulsi laser ad alta intensità nei laboratori ELI. Il concreto contenuto fotografico si trasforma così, grazie a questi “colpi di luce”, in una struttura: una traccia di segni regolari, in cui l’immagine originaria resta come livello sottostante.

Una parte delle fotografie esposte riguarda il paesaggio desertico nei pressi del Mar Morto. Che cosa l’ha colpita dell’atmosfera di quel luogo?

La serie analogica e intensa dal titolo Breve storia dell’isola è nata nel 2013, in un contesto molto diverso da quello attuale in Medio Oriente. All’epoca le immagini avevano soprattutto una connotazione ecologica, anche se sin da allora l’intero progetto nasceva da un’intuizione delle tensioni geopolitiche della zona. Il livello del Mar Morto diminuisce in alcuni anni anche di un metro, una velocità enorme, e certe aree costiere – incluso il luogo dove fotografavo – hanno dovuto essere recintate per motivi di sicurezza. Il terreno infatti comincia a sprofondare. È un paradosso interessante: in un’epoca in cui il livello dei mari cresce e sommerge le zone costiere, lì invece il mare arretra rispetto alla terra. Il paesaggio locale è ricco di contrasti. Sono tornato più volte nello stesso punto. Durante l’ultima visita, ho fotografato di notte, con il flash, monumentali palme da dattero secche: mi ricordavano dei camminatori notturni che il fascio di luce aveva immobilizzato nel tempo, nel mezzo del deserto arido. Il luogo era anche pericoloso, ma ci sono andato comunque. Ora, dopo 12 anni, a causa degli eventi in Medio Oriente, guarderemo probabilmente quelle stesse fotografie della serie Breve storia in una prospettiva più ampia. Spetta poi ai visitatori trovare i significati che vi risuonano.

Come riesce nella sua professione a coniugare la creazione artistica con la fotografia su commissione?

Separo in modo molto rigoroso la produzione artistica da quella applicata: la prima la presento con il mio nome, la seconda nell’ambito dello studio adam & costey. Devo dire di avere clienti molto interessanti: dalle grandi aziende tecnologiche, ai complessi produttivi, fino a organizzazioni non profit come Prague AI. Apprezzano il mio stile e mi lasciano molta libertà, il che è fantastico. Nel campo della fotografia applicata mi guadagno da vivere soprattutto con la fotografia documentaria per agenzie ceche e tedesche, il che mi permette tra l’altro di partecipare a conferenze scientifiche specializzate di grande rilievo internazionale. Queste esperienze influenzano anche il mio pensiero sulla produzione artistica da galleria. A volte è naturalmente impegnativo coordinare tutte le aree della fotografia a cui mi dedico. Oggi però, attraverso la mostra Broken Flowers, si sono connesse tutte e ciò mi dà gioia. Negli anni ho capito che questa “apertura” mi è necessaria sia per la produzione creativa, sia per l’attività di docente. È più facile spiegare agli studenti fotografia, arte e diritto quando puoi attingere alla tua esperienza in contesti sia artistici che su commissione, in patria e all’estero. La grande maggioranza degli studenti e diplomati delle scuole d’arte combina alla fine progetti artistici e lavori su commissione per potersi mantenere. Con queste “soft skills” cerco di aiutarli nel loro percorso.

Nelle scuole tiene lezioni anche sugli aspetti giuridici della fotografia. In cosa consiste questa attività?

Tengo lezioni principalmente su fotografia e diritto d’autore. È l’area che mi è più vicina e in cui mi sento più a mio agio. Parlo di come licenziare correttamente la propria produzione e venire giustamente retribuiti per il suo utilizzo, dei rapporti tra artista e galleria, artista e cliente, e dei modi di affrontare situazioni in cui le proprie fotografie vengono usate senza autorizzazione. È spesso una combinazione di diritto, arte, psicologia e negoziazione tattica. All’interno dell’organizzazione non profit Fair Art, che ho co-fondato nel 2015 e che oggi dirigo, ci dedichiamo a un’attività educativa più ampia nel campo della proprietà intellettuale, inclusi anche i diritti di proprietà industriale. Non solo nelle scuole, ma anche in istituzioni culturali, gallerie pubbliche e private. Organizziamo conferenze gratuite per il pubblico, pubblichiamo contenuti e, nei limiti delle nostre possibilità, cerchiamo di aiutare giuridicamente la scena artistica ceca e contribuire alla sua crescita.

Ha dedicato la sua tesi di dottorato all’appropriazione di opere fotografiche altrui. Ora, con l’arrivo dell’intelligenza artificiale, è un grande tema…

La commissione di dottorato della FAMU nel 2014 non lo percepiva così. L’appropriazione nella fotografia e i suoi limiti giuridici erano allora un tema piuttosto marginale, discusso più o meno solo nell’ambiente artistico, e pochissimo in quello giuridico. Dato il mio precedente studio di diritto e fotografia, l’argomento si prestava bene, così ho iniziato, tramite casi studio, a cercare risposte a quando l’appropriazione (cioè il “prendersi” un’opera altrui) possa portare a una sinergia e quando invece a un conflitto. È stato una sorta di studio di base su un problema che poi l’avvento dell’IA ha accelerato, arrivando praticamente proprio quando ho consegnato il testo finale nel 2023. Sin dall’inizio avvertivo gli artisti che l’accettazione incondizionata dell’appropriazione come principio artistico porta con sé dei rischi. Ora si vede che l’IA si addestra sulle opere di quegli stessi artisti che si appropriavano dei lavori altrui (e difendevano l’appropriazione come strategia artistica), e oggi sono proprio loro a protestare sostenendo che si tratta di una violazione dei loro diritti.

Come pensa che le nuove tecnologie, come le applicazioni basate sull’intelligenza artificiale, cambieranno l’ambito professionale della fotografia applicata?

Le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, aiuteranno sempre più efficacemente a svolgere la maggior parte dei compiti di routine legati per esempio alla post-produzione delle immagini o alla creazione di moodboard. L’impatto concreto dipenderà dal settore specializzato della fotografia. Oggi già vediamo che gli strumenti basati su IA hanno un impatto piuttosto negativo sui settori della fotografia orientati alle campagne pubblicitarie: la post-produzione avanzata è sempre più rapida e soprattutto più economica rispetto alla costruzione o al keying di scene complesse. Al contrario, nel campo della fotografia documentaria/reportage, al momento non vedo un problema. Anzi, noto tra i colleghi una crescente richiesta di risultati visivi di qualità. Tutti, non solo le aziende, hanno bisogno di presentarsi. E sarà così ancora per un po’, a meno che non comincino a volare droni agli eventi e alle conferenze, scattando in sicurezza foto da ogni angolazione, o che robot con fotocamera, set di obiettivi e batteria sempre carica siano in grado di muoversi tra la folla senza collisioni. Ma la domanda è: un fotografo del genere lo vorreste davvero a una conferenza? E un’altra domanda: come ci sentiremmo noi, come persone, ad essere fotografati in quel modo?
In alcune commissioni oggi si vede (non troppo sorprendentemente) un ritorno alla fotografia analogica classica, sia a colori che in bianco e nero. Senza ritocchi, senza grandi interventi cromatici, con una mano autoriale e la sensibilità del creatore. Con un autore con cui puoi stringere la mano e prendere un caffè per farti raccontare come pensa la sua arte. Per gli autori creativi vedo il futuro in modo positivo.

Fotografia: Artium / adam & costey studio

The link to the exhibition video (with English subtitles) can be found on the official KKCG website.

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